Licenziamento collettivo. Violazione dell’applicazione dei criteri di scelta. Comunicazione.Generico riferimento alle figure professionali.
Corte di Cassazione. Sentenza 31 marzo 2022, n. 10523.Corte di Cassazione. Sentenza 31 marzo 2022, n. 10523.
Licenziamento collettivo. Violazione dell’applicazione dei criteri di scelta. Comunicazione. Generico riferimento alle figure professionali.
Nota della Redazione di Lucisullavoro DPL.
1. Nella sentenza che di seguito si riporta, la Corte di Cassazione afferma che la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare del criterio relativo alle competenze tecnico-professionali, impedendo ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offre alcun parametro comparativo rispetto alla posizione di altri lavoratori.
Giova ricordare che la S.C., nella sentenza 25 marzo 2022, n. 9800, aveva ribadito il consolidato principio di diritto in base al quale la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9 della legge n. 223 del 1991, che fa obbligo di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti. A tal fine, quindi, l’esigenza di consentire il controllo (contestuale e successivo) impone che non solo i criteri, ma anche i presupposti fattuali sulla base dei quali i criteri sono stati applicati risultino ricavabili dalla comunicazione.
Da tanto consegue che la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare dei dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati astrattamente ai criteri selezionati (anzianità di famiglia, esigenze tecnico produttive ed organizzative, carichi di famiglia), impedisce ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun parametro comparativo, rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli.
Tali carenze, che rendono dunque lacunosa la comunicazione, si concretano non in una mera “violazione delle procedure” bensì in una violazione dei criteri di scelta per la quale si applica la tutela reintegratoria e non la tutela meramente indennitaria.
Con riferimento al caso sottoposto al suo esame, la S.C. ha inoltre evidenziato, nella sentenza 25 marzo 2022, n. 9800, che quando la comunicazione ex art. 4, co. 9, L. n. 223 del 1991 carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta si sia risolta nell’accertata illegittima applicazione di tali criteri vi è annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. Dal testo della sentenza
“[…] Fatti di causa
- Con sentenza n. 3509 del 5.6.2019 la Corte d’appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato da Il N. di M. T. s.r.l., in data 18.1.2017, a F. P., addetto al settore “contazione banconote”, ed ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti e condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970.
- La Corte territoriale ha ritenuto che il licenziamento – limitato al solo settore “contazione banconote” – risultava affetto dalla violazione dell’applicazione dei criteri di scelta, in quanto, nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991 diretta al lavoratore, vi era un generico riferimento “alle figure professionali con competenze complete e totalizzanti”, mera clausola di stile, che non rendeva espliciti e comprensibili i punteggi concernenti le competenze tecnico-professionali come attribuiti nella tabella allegata alla comunicazione; rilevata la formazione del giudicato circa il regime sanzionatorio applicato dal giudice di primo grado, respingeva il reclamo della società proposto ex art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012.
- Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di tre motivi; il lavoratore intimato ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria.
- Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
- Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, e 5, della legge n. 223 del 1991, per errata valutazione, da parte della Corte territoriale, della indicazione dei criteri di scelta, avendo ritenuto che la “griglia” generale dei lavoratori da licenziare non corrispondesse alla concreta realtà aziendale e fosse generica, senza indagine sulla posizione del P., sul suo inserimento in azienda e sul concreto atteggiarsi della suddivisione del lavoro nella società; la Corte territoriale ha dichiarato illegittimo il licenziamento solamente sulla base del controllo “formale” della procedura, che invece è stata corretta e si è conclusa con la sottoscrizione di un accordo con le sigle sindacali.
- Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991, avendo, la Corte territoriale, respinto tutte le censure avanzate dal lavoratore in ordine alla forma e alla tempistica della comunicazione, della partecipazione sindacale e del coinvolgimento degli enti territoriali preposti e non essendo emerso alcun concreto pregiudizio subito dal lavoratore, anche in raffronto ai casi concernenti colleghi nella graduatoria.
- Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione avendo, la Corte territoriale, ritenuto provato, sulla scorta di prove immaginarie poiché mai assunte, il pregiudizio in danno al lavoratore poiché i criteri di scelta sarebbero stati formulati ed applicati in maniera erronea, vaga e non comparabile con la posizione degli altri colleghi.
- I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
4.1. In disparte i pur decisivi profili di difetto di specificità (mancando la trascrizione della comunicazione di cui alla legge. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, documento sul quale si fondano i rilievi, nonché della “griglia” dei lavoratori addetti al settore ove è stata effettuata la riduzione del personale e, inoltre, dei passaggi significativi degli atti difensivi del giudizio di merito e della sentenza di primo grado al fine di valutare la rituale devoluzione della questione alla Corte di Appello), la verifica della adeguatezza della comunicazione inviata al lavoratore e alle parti sindacali, sotto il profilo della specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare nell’ambito della stessa unità produttiva, costituisce valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, ove sia assistita, come nel caso di specie, da motivazione esente dalle anomalie denunciabili ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (ex plurimis Cass. n. 11254 del 2010; Cass. n. 11957 del 2015; Cass. n.25737 del 2018).
4.2. Infatti, il giudice di appello ha ritenuto la inadeguatezza del criterio con cui è stato attribuito il punteggio (di peso considerevole, ossia da 1 a 10, come sottolineato dalla sentenza impugnata) per le competenze tecnico-professionali, in assenza di parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica se non quello del generico riferimento “alle figure professionali con competenze complete e totalizzanti”, genericità aggravata dalla circostanza che si trattava di licenziamento che andava ad incidere su lavoratori appartenenti allo stesso settore, settore che non è stato eliminato ma solamente ridimensionato. Tale valutazione di genericità non è inficiata dalle deduzioni della odierna ricorrente secondo la quale il grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare doveva essere verificato non, come avvenuto, in astratto, bensì in concreto, sulla base di elementi oggettivi e verificabili, e, nello specifico sulla base della posizione occupata dal P.: invero, tale prospettazione è priva di fondamento normativo ponendosi in insanabile contrasto con la garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, riconosciuta alla disciplina dettata dalla legge n. 223 del 1991 cit., garanzia destinata ad operare su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere ma altresì di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro (Cass. n. 19618 del 2011; Cass. n. 15694 del 2009).
4.3. In coerenza con la disciplina e le finalità della legge n. 223 del 1991 cit., la verifica del rispetto degli obblighi procedurali non può che collocarsi logicamente e cronologicamente in un momento antecedente a quello della concreta selezione dei lavoratori da sospendere e della applicazione della rotazione e quanto ora osservato assorbe ogni rilievo formulato dalla società in punto di necessità di verifica “in concreto”, necessariamente successiva, del grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare.
4.4. La generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare del criterio relativo alle competenze tecnico-professionali, impedendo ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offre alcun parametro comparativo rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, come, invece, sostenuto dalla società nel prospettare la necessità di un’indagine prognostica per la verifica della sussistenza in concreto dell’interesse ad agire in relazione al pregiudizio subito.
- La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr. Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul datore di lavoro che ha l’onere di allegazione dei criteri di scelta e di prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati, non essendo ravvisabile alcun onere in capo al lavoratore ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare dei criteri assolutamente vaghi, inidonei a consentire al lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro (cfr. Cass. n. 27165 del 2009).
- Infine, la valutazione della correttezza della motivazione rientra nel diverso paradigma impugnatorio previsto nel n. 5, dell’art. 360 c.p.c. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134) a norma del quale è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), profili non denunciati né ricorrenti in questa sede.
- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
- Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre a favore del difensore antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto […]”.
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