(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 24 marzo 2025, n. 7825.

In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento addebitato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto

Licenziamento. Giustificato motivo soggettivo. Indennità risarcitoria. Decadenza della società dall’esercizio del potere disciplinare. Tardiva contestazione disciplinare. Violazione delle disposizioni aziendali. Art. 18, comma 5, della Legge 300/1970. Sospensione cautelare dal servizio. Gravità dell’inadempimento

 “[…] La Corte di Cassazione

(omissis)

Rilevato che

1. La Corte d’appello di Ancona ha accolto in parte il reclamo di S.D.M. e, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva confermato l’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria di rigetto dell’impugnativa di licenziamento), ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato il 22.2.2019, risolto il rapporto di lavoro del D.M. con la G.E. s.r.l. e condannato quest’ultima al pagamento dell’indennità risarcitoria liquidata in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e della retribuzione maturata nei giorni di sospensione cautelare disposta dalla società in pendenza del procedimento disciplinare.

2. La Corte territoriale ha escluso la decadenza della società dall’esercizio del potere disciplinare ritenendo rispettati i termini stabiliti al riguardo dalla contrattazione collettiva; ha giudicato tardiva la contestazione disciplinare del 12.2.2019 riferita ad illeciti risalenti agli anni 2017 e 2018 ed anche la contestazione del 5.2.2019 limitatamente agli illeciti risalenti al 2018; ha quindi analizzato unicamente gli addebiti mossi con la lettera del 5.2.2019 e commessi nei giorni 18 e 23 gennaio dello stesso anno; ha accertato la sussistenza degli addebiti, consistenti nella violazione delle disposizioni aziendali sul corretto uso degli strumenti informatici assegnati ai dipendenti; ha ritenuto i fatti contestati astrattamente riconducibili alla previsione del contratto collettivo (art. 10, B, lett. g) che consente il licenziamento in caso di “esecuzione senza permesso di lavori nell’azienda per conto proprio … con l’impiego di materiale dell’azienda”; ha valutato la condotta in concreto accertata come priva di particolare gravità ed ha giudicato il licenziamento misura sproporzionata, applicando la tutela di cui all’art. 18, comma 5, della legge 300/1970, come modificato dalla legge 92/2012; ha condannato la società, inoltre, al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e della retribuzione maturata nei giorni di sospensione cautelare dal servizio.

3. Avverso tale sentenza la G.E. s.r.l. proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

S.D.M. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con tre motivi.

La società ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

È stata depositata memoria nell’interesse del D.M.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che

Ricorso principale della G.E. s.r.l.

5. Col primo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.) per avere la Corte d’appello, nel ritenere privi di rilevanza disciplinare taluni degli addebiti oggetto delle contestazioni del 5 e del 12 febbraio 2019, omesso ogni esame circa il fatto che G., già nel febbraio 2016, aveva stigmatizzato il comportamento tenuto dal D.M. (che, nell’occasione, aveva ammesso l’errore) circa l’abusivo utilizzo del computer d’ufficio, con conseguente contezza da parte di quest’ultimo della illiceità dei medesimi comportamenti contestatigli nel febbraio 2019; inoltre, per avere omesso ogni valutazione sul contenuto delle lettere di giustificazione del D.M. del 7 e del 15 febbraio 2019 dalle quali poteva evincersi la incontestabile prova della consapevolezza del medesimo sulla illiceità dei comportamenti contestatigli.

6. Con il secondo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. in riferimento agli artt. 7, L. n. 300/1970 e 2106 cod. civ. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte di appello negato ogni rilevanza disciplinare ai fatti risalenti agli anni 2017 e 2018, anche quali circostanze confermative della complessiva gravità, sotto il profilo sia oggettivo e sia soggettivo, dell’inadempienza del dipendente e della proporzionalità del provvedimento sanzionatorio adottato.

7. Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. in riferimento all’art. 10, B), lett. g) CCNL industria metalmeccanica privata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte di appello dato rilievo, ai fini della ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso, ad elementi fattuali ed a parametri del tutto irrilevanti e non coerenti rispetto ai caratteri qualificatori di tale clausola generale, così incorrendo nel vizio di sussunzione.

8. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 3 L. n. 604/1966 (art. 360, n. 4, c.p.c.) per essere la sentenza impugnata incorsa nel vizio di infrapetizione in merito alla domanda proposta da G.E. S.r.l., sin dal primo grado di giudizio, di valutare la legittimità del licenziamento anche sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo.

9. Con il quinto motivo è dedotta violazione o falsa applicazione, in relazione agli artt. 1362 e ss. cod. civ., dell’art. 11, Sezione Quarta, Titolo VII del CCNL dell’industria metalmeccanica e della installazione di impianti del 26.11.2016 e dell’art. 1, comma 41, della L. n. 92/ 2012 (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), per avere la Corte di appello ritenuto illegittima la disposta sospensione cautelare dal servizio per una durata di 17 giorni, a fronte di quella massima di 6 giorni prevista dal citato art. 11, senza considerare la disposizione di cui al secondo comma, seconda parte, di tale norma contrattuale né il disposto dell’art. 1 della Legge n. 92/2012.

Inoltre, per non aver considerato che la sospensione cautelare dal servizio, essendo una misura provvisoria e strumentale all’accertamento dei fatti addebitati al lavoratore, è strettamente connessa al procedimento disciplinare, tanto da trovarsi rispetto a esso ed anche in relazione alla sua durata, in una sorta di dipendenza funzionale.

Ricorso incidentale condizionato di S.D.M.

10. Con il primo motivo è dedotta violazione dell’art. 2119 cod. civ. e/o dell’art. 3 l. 604/66 e dell’art. 18, comma 4, l. 300/70 nonché falsa applicazione del comma 5 di tale art. 18 in relazione alla violazione dell’art. 8, comma 4, della Sezione IV del Titolo VII del CCNL per il settore Industria Metalmeccanica del 26.11.2016 anche con riferimento agli artt. 1362 e segg. cod. civ. e per suo tramite dell’art. 7 l. 300/70 (art. 360, n. 3, c.p.c.).

11. Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame e omessa pronuncia sulla denunciata violazione dell’art. 2119 cod. civ. e/o dell’art. 3 l. 604/66 e dell’art. 18, comma 4, l. 300/70 in relazione alla violazione dell’art. 4 l. 300/70, dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, del D.lgs. 196/2003 e del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati 679/2016 (art. 360, n. 4, c.p.c.).

12. Con il terzo motivo si imputa alla sentenza d’appello la violazione dell’art. 18, comma 4, l. 300/70 nonché falsa applicazione del comma 5 di tale art. 18 in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9 e 10 della Sezione IV del Titolo VII del CCNL per il settore Industria Metalmeccanica del 26.11.2016 anche con riferimento agli artt. 1362 e segg. cod. civ. (art. 360, n. 3, c.p.c.).

13. Esame del ricorso principale.

14. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto denuncia l’omesso esame di un fatto privo di decisività, come invece necessario ai fini dell’art. 360 n. 5 c.p.c., secondo l’interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014.

Il fatto, di cui sarebbe stato omesso l’esame, rappresentato dall’episodio del 2016, non aveva alcuna idoneità a condurre verso una differente soluzione della causa atteso che il comportamento all’epoca tenuto dal lavoratore, analogo a quelli oggetto delle attuali contestazioni, non fu oggetto di alcuna iniziativa disciplinare.

La valutazione dell’episodio del 2016, ove anche eseguita, non avrebbe pertanto potuto scardinare l’argomentazione dei giudici di appello, che hanno fatto leva sulla ratio della tempestività nella contestazione degli addebiti (specificamente delle condotte più risalenti – anni 2017-2018) come volta ad evitare la reiterazione dei medesimi illeciti da parte del lavoratore per la consapevolezza del rilievo disciplinare ai medesimi dato inequivocabilmente da parte datoriale.

15. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione logica, non sono fondati.

16. Come costantemente affermato da questa Corte, dalla natura legale della nozione di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo contenuta nei contratti collettivi abbia una valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018), al quale spetta, non essendo vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie (tra le recenti v. Cass. n. 33811 del 2021).

La scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321 del 2020; n. 16784 del 2020) e in tal senso depone l’art. 30 della legge 183 del 2010 in base al quale il giudice, “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento […] tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi […]”.

17. D’altra parte, si è evidenziato che mentre le specificazioni del parametro normativo di cui all’art. 2119 c.c. hanno natura giuridica e la loro errata individuazione, sotto l’aspetto della non coerenza agli standards conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale, è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (tra le tante: Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010), l’accertamento della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici.

18. A tali precetti si è attenuta la sentenza impugnata che, dopo aver sussunto la condotta addebitata al lavoratore nella cornice della fattispecie contrattuale suscettibile di licenziamento, ha tuttavia valorizzato, ai fini della giusta causa, una serie di indici tratti dal concreto comportamento posto in essere e dai suoi effetti, quali il numero limitato di violazioni commesse (due della stessa natura) e la mancanza di “finalità specificamente lesive dei dati informatici della società”, così giungendo a valutare l’addebito come privo del requisito di gravità tale da ledere definitivamente il vincolo fiduciario e giustificare il recesso.

19. Il quarto motivo è parimenti infondato.

20. Deve premettersi che è certamente ammissibile, anche in sede d’impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in quanto dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso.

Il giudice quindi, ove pure manchi una esplicita domanda di parte e senza incorrere in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., può valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora – fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto – attribuisca al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest’ultimo tipo di licenziamento (Cass. n. 12884 del 2014).

21. Costituisce indirizzo altrettanto unanime quello per cui, in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento addebitato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (tra le tante Cass. n. 6848 del 2010).

22. Nel caso in esame, a fronte della domanda della società di qualificare il licenziamento, in subordine, come intimato per giustificato motivo soggettivo, la Corte d’appello non ha adottato alcuna espressa statuizione.

Tuttavia, posto che anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è configurabile in presenza di un “notevole inadempimento” degli obblighi contrattuali, la valutazione dei giudici di appello sulla mancanza di particolare gravità della condotta contestata al lavoratore, per il numero limitatissimo degli episodi e l’assenza di qualsiasi finalità e anche di qualsiasi conseguenza dannosa per i beni e gli interessi aziendali, contiene un rigetto implicito della possibilità di ravvisare anche un giustificato motivo soggettivo di recesso. Il rigetto implicito della domanda in esame porta ad escludere la violazione dell’art. 112 c.p.c.

23. Infondato è, infine, il quinto motivo di ricorso.

24. Questa Corte ha chiarito che, in ipotesi di conclusione del procedimento disciplinare in senso sfavorevole al dipendente con adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio si tramuta ad ogni effetto in definitiva interruzione del rapporto che legittima il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita “ex tunc” del diritto alle retribuzioni, a far tempo dal momento della sospensione stessa (v. Cass. n. 624 del 1998; n. 22863 del 2008; n. 9618 del 2015).

Al contrario, l’esito favorevole al lavoratore del procedimento penale o disciplinare determina il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte per effetto della sospensione cautelare dal servizio (v. Cass. n. 15444 del 2014).

A tali principi si è conformata la sentenza impugnata che si sottrae, pertanto, alle censure oggetto del motivo in esame.

25. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale definito espressamente come condizionato (v. pag. 8 del ricorso incidentale).

26. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

27. Il rigetto del ricorso principale costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato […]”.