(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 14 maggio 2024, n. 13282.

Contratto a tempo determinato. Abuso risultante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato. Decorrenza del termine di impugnazione dall’ultimo contratto intercorrente tra le parti. Accoglimento

“[…] La Corte di cassazione

(omissis)

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la A.O Spa al pagamento in favore di S.V. delle retribuzioni dovute alla lavoratrice dalla data di recesso dell’ultimo contratto a tempo determinato stipulato tra le parti in data 6 giugno 2017 sino al termine dello stesso (2.9.2017), respingendo ogni altra domanda della V.;

2. la Corte, in sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha dichiarato l’intervenuta decadenza dalla impugnazione degli undici contratti a termine intercorsi tra le parti anteriori a quello stipulato il 3 giugno 2017;

ha respinto altresì il reclamo incidentale della lavoratrice volto a far accertare una ipotizzata frode alla legge, argomentando che “dall’esame degli scritti di parte ricorrente, ci si limita a mettere in evidenza i difetti dei singoli contratti a termine senza invece indagare, provare e dimostrare quale sia l’effettivo risultato illecito che la parte datoriale avrebbe perseguito e raggiunto”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la V. con tre motivi, cui ha resistito l’intimata società con controricorso;

entrambe le parti hanno comunicato memorie;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;

1.1. col primo si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 28 d. lgs. n. 81 del 2015 in combinato disposto con l’art. 11, comma 2, CCNL Servizi Ambientali, ed artt. 3 e 35 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”; si rammenta che l’istante aveva agito in giudizio, in via principale, “per far accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato anche per nullità del termine apposto ai singoli CTD, a decorrere dal 1.5.2007 (primo contratto), ovvero dal tempo che risulterà di giustizia non oltre l’entrata in vigore del d. lgs. n. 81/2015, quale presupposto della domanda di reintegrazione ex art. 18 l. n. 300 del 1970 conseguente alla nullità e invalidità del licenziamento”; si eccepisce che il contratto collettivo applicabile, richiamando l’art. 19 del d. lgs. n. 81 del 2015, stabiliva una durata massima di 36 mesi per la successione dei contratti a tempo determinato, pena la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato dalla data di superamento di tale limite temporale; si deduce che, a fronte della reiterazione di plurimi contratti a tempo determinato, la trasformazione per superamento di tale limite non può che essere accertata se non al termine dell’ultimo della serie dei contratti;

1.2. si censura la medesima statuizione sulla decadenza anche con il secondo mezzo per difetto di motivazione;

1.3. il terzo motivo deduce: “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, inerente al reclamo incidentale proposto per condotta in frode alla legge, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., nonché per violazione o falsa applicazione di norme di diritto processuale circa l’onere della prova ex art. 360 n. 3 c.p.c.”;

2. i primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati;

questa Corte ha affermato il principio (v. Cass. n. 4960 del 2023), al quale va data continuità, secondo cui, in caso di azione promossa dal lavoratore per l’accertamento dell’abuso risultante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, il termine di impugnazione previsto a pena di decadenza dall’art. 32, comma 4, lettera a), della legge n. 183 del 2010, deve essere osservato e decorre dall’ultimo (ex latere actoris) dei contratti intercorsi tra le parti, atteso che la sequenza contrattuale che precede l’ultimo contratto rileva come dato fattuale, che concorre ad integrare l’abusivo uso dei contratti a termine e assume evidenza proprio per far accertare l’abusiva reiterazione; pertanto, la vicenda contrattuale può «rilevare fattualmente», in particolare, «come antecedente storico che entra a fare parte di una sequenza di rapporti e che può essere valutato, in via incidentale, dal giudice» (cfr. Cass. n. 22861 del 2022, resa in materia di contratti a termine nell’ambito di rapporti di lavoro in somministrazione, ma che sul punto può trovare applicazione rispetto alla fattispecie in esame; conf. Cass. nn. 23490, 23494, 23499, 23531 e 29570 del 2022), al fine di verificare se la reiterazione dei contratti del lavoratore con lo stesso datore di lavoro abbia oltrepassato il limite legale di durata, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della direttiva 1999/70/CE, atteso che «quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario» (CGUE, causa C- C-53/04, M.S.); in precedenza v. pure Cass. n. 8038 e 37752 del 2022;

la Corte territoriale non si è attenuta a tale principio, in quanto non ha accertato se, rispetto all’ultimo contratto a termine ritualmente impugnato, fosse stato o meno superato il limite massimo dei 36 mesi, cumulato con i rapporti di lavoro a termine precedenti, secondo la disciplina tempo per tempo vigente;

3. il terzo motivo è, invece, inammissibile perché evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per un fatto processuale inerente l’interpretazione degli scritti difensivi della parte, mentre il fatto decisivo rispetto al quale può lamentarsi l’omesso esame tale da determinare la cassazione della sentenza impugnata deve avere natura sostanziale (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014)

4. conclusivamente vanno accolti il primo e il secondo motivo del ricorso, dichiarato inammissibile il terzo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvio alla Corte indicata in dispositivo, che provvederà a nuovo esame uniformandosi a quanto statuito e liquidando le spese anche del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese […]”.